Dire che il percorso di sostenibilità sia una strada tutta in discesa sarebbe falso, è invero una strada piena di sfide, anche per i CEO più “illuminati”. Anche loro possono trovarsi, a volte, bloccati e disillusi, perché non  sanno come operare modifiche alle loro attività e si sentono ostacolati dalla complessità delle loro catene di approvvigionamento e dalla mancanza di azione da parte dei regolatori statali.

Gli Amministratori Delegati possono aver paura di esporsi, quando la stragrande maggioranza dei loro colleghi, anche quelli che guidano società con programmi di sostenibilità in atto, continuano a sminuire, se non a smentire, l’entità dei pericoli derivanti dal cambiamento climatico, la scarsità delle risorse, la crescente disuguaglianza e la decimazione della biodiversità.

Come se ciò non fosse sufficiente, si trovano anche difficoltà nel reperire “alleati” che riconoscono la necessità di un cambiamento  all’interno del proprio consiglio di amministrazione. Ancor più difficile di cambiare la mentalità dei loro amministratori è il convincere gli azionisti/soci della necessità di dirottare la loro attenzione ossessiva sui profitti a breve termine e considerare la sostenibilità e il lungo termine. Vi è poi la difficoltà che accompagna ogni cambiamento culturale all’interno di un’organizzazione che coinvolge i manager e i quadri.

Tutte queste situazioni potrebbero essere presenti, ad esempio, in aziende che si concentrano quasi esclusivamente su programmi di efficienza energetica, che offrono un ritorno economico rapido e che mettono in secondo piano  obiettivi di decarbonizzazione studiati sulla base di ciò che la scienza esorta a fare per evitare cambiamenti climatici catastrofici.

Ma siamo ancora in un tempo in cui la definizione di sostenibilità non è stata incorporata completamente dai consumatori. Siamo ancora in un tempo in cui una organizzazione può iniziare a declinare la propria strategia di sostenibilità enfatizzando alcuni dei valori insiti nel proprio business model, contribuendo a formare il concetto di sostenibilità nell’immaginario del proprio consumatore di riferimento.

Siamo ancora in un momento in cui un percorso innovativo, come quello della sostenibilità, può portare grandi vantaggi, non godendo, forse, dei vantaggi (e dei rischi) dei first mover ma sfruttando la curva di esperienza degli early follower.

I CEOs sanno che la sostenibilità, se gestita come variabile strategica, porta dei ritorni economici positivi.

Il Climate Performance Leadership Index (CPLI)  è l’indice perfezionato dall’associazione, riconosciuta a livello internazionale, Carbon Disclosure Project (CDP)che mette in luce le imprese che si sono maggiormente impegnate in azioni di mitigazione per i cambiamenti climatici. Analizzando la segmentazione Euro 300, che racchiude le più grandi società quotate e che rappresentano il 68% della capitalizzazione del mercato EU, si evidenzia che più del 90% delle società ritiene che la legislazione sul clima rappresenti uno stimolo per il proprio business e che il 98% si stia impegnando in modo sostanziale in programmi di riduzione della CO2. Sono società che stanno puntando su una low carbon economy e che stanno investendo in un futuro più sostenibile. Analizzando l’indice CPLI notiamo che le società europee sono fra le migliori, a livello globale, in termini di investimenti per la riduzione delle emissioni, ma anche che le loro performance finanziarie dal 2010 ad oggi hanno overperformato rispetto a quelle degli indici Bloomberg World Index e Dow Jones Sustainability Index.

Questo è un esempio di leva, che il CEO ha a disposizione, per supportare e coinvolgere altri attori nel percorso di sostenibilità della sua organizzazione. In questo caso per gli azionisti e gli investor relator, ma vi sono molti sudi, ricerche, evidenze empiriche, testimonianze che indicano la sostenibilità come un percorso innovativo e positivo.

Integrare la sostenibilità nello sviluppo strategico dell’impresa e nelle operations richiede una forte dose di leadership e anche una certa disciplina.