Da una ricerca McKinsey è emerso che i governi del mondo stanno sovvenzionando il consumo di risorse. Molti stati, compresi molti paesi in via di sviluppo, stanno consumando più del 5% del loro PIL per sovvenzionare l’utilizzo dell’energia da fonti non rinnovabili. L’International Energy Agency (IEA) ha più volte sottolineato che lo stop alle sovvenzioni all’energia da fonti fossili sia una delle mosse necessarie per centrare l’obiettivo, sempre più sfidante, di contenere l’incremento della temperatura media ai 2°C. I benefici di uno stop agli incentivi sono ormai evidenti, comprovati e includono un abbattimento dei costi da sostenere per stabilizzare le emissioni di gas climalteranti (GHG), un allontanamento da un’economia carbon intensive, l’incentivo all’efficienza energetica, la diffusione di tecnologie low carbon.
Gli incentivi sono principalmente di due tipi: a) incentivi per i consumatori, b) incentivi ai produttori. I primi agiscono abbassando i prezzi al consumo, mediante sovvenzione ad esempio del carburante per trasporto o del carburante per riscaldamento domestico. I secondi sono rivolti principalmente alle industrie di uno specifico settore strategico, a società produttrici di energia a compartecipazione statale o a prodotti che devono competere in mercati internazionali.
Una riforma degli incentivi all’energia da fonti fossili è non solo possibile, ma necessaria. Anche nei paesi sviluppati ed in particolare fra i membri del G20 non vi è piena concordanza fra ciò che è considerato incentivo e ciò che non lo è, ma soprattutto manca una politica di monitoraggio e di reportistica comune. Mappare e stimare precisamente la portata degli incentivi a livello globale, includendo, quindi, anche i paesi in via di sviluppo risulta piuttosto difficoltoso. Negli ultimi anni alcuni paesi che potremmo chiamare “amici” della riforma degli incentivi per il carburante da fonte fossile (FFSR), stanno conducendo delle peer reviews sugli incentivi gli uni degli altri e hanno meeting programmati per il monitoraggio del programma. Molti istituti di ricerca ed organismi internazionali hanno, a loro volta, dei programmi di monitoraggio, che mirano anche a dare assistenza ai paesi che ne facciano richiesta. Fra questi ad esempio, la Word Bank ha un programma denominato ESMAP; l’IEA sta seguendo la rimodulazione con obiettivo azzeramento degli incentivi per due paesi dei mercati emergenti, un programma in tre fasi, che vedrà la pubblicazione nel 2016; l’IISD ha intrapreso un programma ambizioso denominato Global Subside Initiative (GSI) che mira a mettere in relazione gli incentivi con altre variabili quali, gli effetti sull’ambiente, sullo sviluppo economico, sulla governance.
C’è sicuramente bisogno di stimolare una discussione informata sugli incentivi e i loro impatti, anche a livello nazionale, in modo tale che i singoli paesi possano comprendere a pieno come trattare l’argomento. Sarebbe inoltre necessaria la predisposizione di un “tool-kit” che faciliti l’emergere delle varie opzioni oggetto di valutazione. Tale strumento dovrebbe comprendere necessariamente, anche una fase di pubblic engagement, magari implementata da ONG o associazioni sul territorio, in modo da ricevere input anche dagli stakeholders .
Ad oggi, manca un’unica piattaforma di questo tipo in cui poter trovare dati, sia a livello puntuale che a livello macro, in cui si possano archiviare anche le best practices e in cui si possano sviluppare collaborazioni fra diversi attori. Sarebbe auspicabile l’implementazione di un tale sistema per agevolare un coordinamento delle policy a livello globale, per allocare in modo più sostenibile i flussi finanziari oggi dedicati alle risorse provenienti da fonti non rinnovabili.